PeerGynTrip

tratto da Herik Ibsen

adattamento e regia Stefano Sabelli

con
Eva Sabelli
Gianantonio Martinoni
Bianca Mastromonaco
Matteo Palazzo
Fabrizio Russo

musici di scena
Piermarino Spina
Antonio Scioli

 

scene  Francesco Fassone
costumi Martina Eschini
luci Daniele Passeri
fonico  Gianmaria Spina

Nel 1867, durante un viaggio in Italia – fra Roma, Ischia e Sorrento – Henrik Ibsen, autore attento ai mutamenti sociali e di costume, che per primo mette a nudo le contraddizioni della borghesia ottocentesca, crea Peer Gynt, la sua opera più fantastica e onirica. Per casuale coincidenza, lo stesso anno, Karl Marx, padre del materialismo storico, da alle stampe il Capitale, l’opera che forse più d’ogni altra può aver influenzato l’Ibsen autore di drammi sociali. Per questo dramma in versi, che appare distante e diverso dalla produzione più naturalista del padre della drammaturgia moderna, Grieg ha scritto musiche oggi certamente più note e popolari della stessa opera teatrale. Peer Gynt è una favola affascinante, dall’andamento picaresco, con mutamenti improvvisi, forse più adatti a un Fantasy cinematografico che a un’opera teatrale.

In PeerGynTriptraducendo e riadattando il testo dell’autore norvegese, Stefano Sabelli mette in scena per il Teatro del Loto una favola, dove tempi, spazi e luoghi si sovrappongono in un’età e in un gioco temporale indefiniti. La storia del simpatico perdigiorno che trascorre l’esistenza edonisticamente, tra piaceri materiali e trovate fantastiche, rappresenta il cammino della vita, della ricerca di se stessi nel contatto col mondo reale e irreale: una metaforica ricognizione nella natura umana che assume quasi i connotati di un’avventura faustiana.

Lo spettacolo del Loto si propone come un caleidoscopio di visioni fantastiche e irresistibili mutamenti scenici, dove la vita di Peer – personaggio che interpreta anche tutte le sfide romantiche dell’uomo ottocentesco alle prese con la rivoluzione industriale e la modernità -si snocciola come uno schioccare di dita che mette in comunicazione in uno stesso tempo, visibile e no, tutte le età dell’uomo, sfogliate come gli strati di una cipolla, alla ricerca di un cuore che – come l’isola – non c’è.

Peer Gynt, simpatica canaglia, spaccone e ribelle, bugiardo come Pinocchioe riluttante a crescere come Peter Pan– personaggi di cui è a suo modo antesignano e che questa regia tiene presenti – passa da una frottola all’altra, come da un’avventura all’altra. Seguendo, impavido, l’imperativo: “sii te stesso!”, trascorre la sua vita in un mondo dove fantasia e realtà finiscono per confondersi. Attraversa tutti gli stati e gli stadi della vita, Peer. Rifiutando in principio l’amore sincero della dolce Solvejg, persa anche la madre Aase – l’unica che riusciva a tenergli testa nel suo mondo fantastico, e che sovrappone a se nella caccia all’Io Gyntiano – Peer prende a viaggiare per paesi esotici e lontani, cimentandosi in mille mestieri ed esperienze.

Così, mentre caccia la renna, in bilico sulla Cresta di Gendin, affilata come una falce ea ridosso di fiordi bui e sonnolenti, Peer è proscritto e bandito dal suo paese per aver sedotto e abbandonato una giovane sposa, il giorno del matrimonio. Rifugiatosi sui monti, fra boschi e foreste, è risucchiato nel mondo dei Troll (qui rappresentato come una Suburra romana dai contorni barocchi, in omaggio al viaggio in Italia che ha ispirato Ibsen) fra orge e baccanali. Padrone di schiavi in America, scopre il mal d’Africa, animando dotte conversazioni da Te nel Deserto,fra i rossi tramonti del Marocco. Deriso e depredato dalle scimmie di Gibilterra è salvato e poi sedotto da odalische berbere, che danzano come Salomè. In Egitto, si esalta alla vista delle Piramidi (e di Sfingi parlanti) come pure si appassiona delle scoperte antropologiche, nel manicomio del Cairo. Naufrago nel Mare del Nord, alla fine si ritrova lì: nel paese natio che lo aveva proscritto, spettatore del suo funerale nella chiesa Agstad, senza essere riuscito a liberarsi dalla tirannia del proprio Io. Un Io che, infine, sfoglia come una cipolla: tolte le coltri sovrapposte, non resta che il nulla. Anche se, la dolce Solvejg, da cui era fuggito e che prende le forme di tutte le figure femminili che incontra, o sogna, nel suo cammino, è sempre lì, ad attenderlo, amandolo fedele… ora, ancora e sempre.

PeerGynTrip è un racconto immaginifico che si sovrappone sempre a se stesso e che in questa messa in scena trova la giusta dimensione nella scenografia mobile e funzionale di Francesco Fassone. Un grande patchwork di pelli e pellicce miste, che ricorda le renne che Peer racconta di cacciare e che, assemblate insieme, coprono una superficie di circa 8 mt quadri. Un enorme telo, azionato a vista attraverso più di 20 tiri dagli stessi attori, che crea, nello spazio scenico, un gioco di volute e architetture sempre diverse.

Prendono così forma durante lo spettacolo: monti e fiordi; boschi e caverne; vele e grandi mantelli somiglianti ad ali; accampamenti arabi e piramidi; manicomi e mari in tempesta. Uno spettacolo, pensato con grande libertà creativa, dove il ribaltamento immediato di paesaggi e storie, è funzionale alla messa in scena di una grande favola moderna, i cui passaggi cruciali sono sottolineati da molti dei temi originali composti da Grieg. Arrangiati ed eseguiti dal vivo anche attraverso campionature elettroniche e l’uso di strumenti etnici, come cornamuse e zampogne, compongono, intrecciandosi a temi moderni e alle canzoni di Califano ed Elvis Presley, una colonna sonora che rimarca un vorticoso gioco interpretativo. Quello di cinque, fra attori e attrici, che danno vita e corpo a tutti i personaggi dell’opera originale, alternandosi reciprocamente sia in ruoli maschili che femminili, accentuando così il gioco onirico e la dimensione fantastica della messa in scena.

“ Sono anni che inseguo questo testo e lui insegue me: da quando ho cominciato a far teatro in Accademia. Una favola nordica, creata da Ibsen, durante un suo viaggio mediterraneo, fra Roma, Ischia e Sorrento, che insegue lo spleen di renne, fiordi e nevi della Norvegia e contagiato dal mal d’Africa. Un lavoro per cui Grieg ha scritto musiche sublimi e pop da noi qui reinterpretate anche con strumenti etnici. Non so se fra le nevi del Matese è possibile immaginare troll e spiriti della foresta nordica, ibridati da una Suburra romana con angeli barocchi e colonne imperiali ma Peer Gynt è già di suo un Trip teatrale davvero unico da affrontare. Perché questo racconto è il racconto di una vita lunga un giorno, lungo come una vita. Lo sbucciare della cipolla ci appartiene nel quotidiano, pur non accorgendocene. La ricerca del cuore di un nostro “se” che sfogli, cerchi e non trovi mai, ma che lascia intatta la brama di trovarlo… magari solo per ricominciare a sognare e sfogliare nuove vite e nuove età.”  – Stefano Sabelli


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