L’asino

L’ASINO di Jon Jasper Halle

con
Anna Paola Vellaccio
Stefano Sabelli

regia Gianluca Iumiento
canzoni dal vivo Arianna Sannino

traduzione italiana di Maria Sand – scene e immagini Keziat 

aiuto regia e costumi Eva Sabelli – luci Michele Mascia 

durata dello spettacolo: 60 minuti

“La Voce, Stefano Sabelli, arriva alle nostre spalle e, potente, o insinuante, ci inchioda. Kari, Anna Paola Vellaccio, non pronuncia frase che non sia reale piuttosto che lirica, non compie un fuggevole, impercettibile gesto che non sia commovente. Due grandi attori per un piccolo grande spettacolo.”

Franco Cordelli – Corriere della Sera – Dom 8 novembre 2020

PRESENTAZIONE

Jon Jesper Halle, è un autore norvegese, docente di drammaturgia alla KHIO, National Accademy of the Arts di Oslo. Dal suo debutto come autore, nel 1984, ad oggi, ha scritto drammi e commedie per Teatro, Radio e Televisione. In Scandinavia, nel 1996, con Dagenes Lys, tra le sue opere più̀ rappresentate, ha vinto il Premio Ibsen, mentre con Lilleskogen, nel 2004, il Premio Hedda. Il suo lavoro di drammaturgo, che oggi ispira molti giovani autori scandinavi, unisce un linguaggio poetico e talvolta onirico alla narrazione d’impronta realista. Nelle sue opere, spesso in forma di dark comedy, Halle, mette in scena il lato oscuro della quotidianità̀ scandinava, quello che non traspare sotto l’apparente perfezione borghese e l’agiato e perbenismo nord-europeo. Ansie, paure, senso di inferiorità̀ e precarietà si mescolano così a rabbia repressa, frustrazioni e sogni troppo grandi per essere realizzati. Fra voglia di fuga e rifiuto delle convenzioni, il Teatro di Jesper Halle è un gioco d’equilibri e sorrisi amari, tra mitologia nordica e cronaca domestica.

L’ASINO, atto unico sperimentale, scritto da Halle in una fase di ricerca e studio sulla scrittura polivocale – teorizzata ed elaborata dall’americano Paul Castagno – non sfugge a questo schema. Anzi lo esaspera. Tipico del teatro polivocale è infatti il movimento di un’azione scenica, non prevedibile, ispirata piuttosto dal dialogo interiore, subliminale e occulto, tra le voci dell’opera, in continuo scontro dialettico fra loro.

Lo Spettacolo tratto da L’Asino è una coproduzione fra Teatrimolisani Florian Metateatro che ha presentato questo inedito di Halle in Prima mondiale ad Asti Teatro 2021, dopo una prima mise en espace, presentata a Viterbo a Quartieri dell’Arte, a settembre 2020, in piena emergenza Covid.

L’ASINO mette in scena un serrato dialogo a due, fra un ruolo femminile realistico e uno maschile evocativo. Ne nasce un incontro/scontro che da un piano, apparentemente naturalista, improvvisamente tracima in una rappresentazione multiforme e sarcastica della società scandinava contemporanee, messa a nudo e sferzata con irridente epicità, mentre, sempre più evidenti, emergono le Voci di dentro di una donna comune.

KARI – Anna Paola Vellaccio – cerca un senso alla sua vita piccolo borghese e alle sue frustrazioni di donna, che sente sempre più inadeguata, inutile e superflua la sua esistenza, da maestrina di provincia. Superati gli “anta”, separata e con una figlia che ha ormai deciso di vivere per conto suo, sente esaurito in lei lo spirito d’evoluzione e di ribelle emancipazione che ha segnato il periodo dei suoi studi universitari, gli amori giovanili e il suo ingresso in società. Dalle prime battute, KARI, mostrandosi in scena incatenata, subito evidenzia una solitudine esistenziale e una fragilità sentimentale.

VOCE – Stefano Sabelli – emerge dal pubblico per controbattere KARI con irridente perfidia e spezzarne il soliloquio maniacale. Come una subcoscienza, VOCE squassa l’avvitamento esistenziale di KARI, inserendo nel suo farneticare, un contrappunto metaforico che costringe la donna a un dialogo interiore ancor più profondo che fa pian piano emergere le sue frustrazioni e i suoi desideri più intimi, distogliendola un po’ alla volta dal buco nero in cui si è o, è stata, cacciata.

In un sovrapporsi di piani onirici, assumendo a volte le fattezze dell’uomo che ha lasciato un segno indelebile nella sua vita; altre volte mostrandosi come figura d’emancipazione e guida spirituale – una sorta di traghettatore mistico – VOCE cerca di infondere a KARI nuova fiducia in sé, spronandola così a ritrovare lo spirito perduto, giocoso e ribelle, di gioventù. Con l’auspicio di farla rinsavire e liberarla da ogni complesso mentale e sentimentale, che soffoca la sua grigia e ormai apatica esistenza di donna di mezza età̀. Una donna che sente implacabile avanzare, insieme alle rughe, l’inevitabile decadimento fisico, estetico e morale.

Dopo il primo approccio e i primi confronti scontri verbali, KARI apparentemente, sembra liberarsi dalle catene mentali e fisiche che ingabbiano la sua vita pur trascorsa in una confortevole casa a schiera con giardino fiorito. Guidata da VOCE prova l’avventura di un nuovo e più profondo viaggio, dove facendo finalmente i conti col suo passato, il suo mondo interiore sembra ridestarsi, insieme alla rievocazione di sensuali viaggi in Grecia, gite in barca e trekking sulle montagne che sovrastano la terra dei fiordi. Fra mostre d’arte, appuntamenti e aperitivi mondani. Uno scavo nella memoria che fa emergere in lei lo spleen di un disagio esistenziale che l’ha, infine, condotta a scelte estreme, di cui sente di doversi pentire o, perlomeno, liberare. Una sfida in cui VOCE costringe KARI a nuovi e continui interrogativi sulla vita e a una sorprendente migrazione mentale verso territori mai esplorati, dove emergono verità̀ nascoste, mai confidate.

Fra realtà e fantasia, il testo evolve così nel racconto finale della protagonista che emerge come una favola nera, post-femminista. Una favola che lei stessa evoca – quella del piccolo Asino grigio – che le permette, infine, di rompere le gabbie di un patriarcato ancestrale e di una sottomissione che le ha fin lì impedito di sviluppare le sue vocazioni più̀ recondite e multiformi: Kari, che sognava d’essere un Angelo dai capelli viola; Kari che si sentiva un Asino grigio; Kari che si riscopre come nero Lupo. Mutando la sua natura, infine, da vittima a carnefice.

Critico nei confronti di una claustrofobica e perbenista società̀ norvegese, L’ASINO descrive il sentimento di sentirsi intrappolati dalla vita, dal passato, oppressi da una società̀ conformista (quella scandinava ma più in generale di un Occidente ricco e opulento), che fa emergere una prepotente spinta emotiva che – come un sordo Urlo alla Munch – spinge ad abbandonare ogni sicurezza borghese e comodità pregressa, per una più vitale, per quanto incerta, animalità.

Come nel Peer Gynt di Ibsen, il richiamo agli archetipi della mitologia nordica è molto evidente nell’atto unico di Halle. Nonostante gli sforzi di creare una società̀ civile che omaggi e pratichi ogni forma di libertà ed emancipazione possibile, l’autore consapevolmente ricorda come lo spirito pagano e mistico – eredità ancestrale dei Vichinghi – sia ancora vivo e vibrante fra i pacati ed evoluti popoli scandinavi. Per Halle, nella Norvegia contemporanea si fa ancora fatica a tenere a bada la lava dei sentimenti più̀ scuri e irrazionali. Quelli che più agitano, in fondo, i suoi conterranei.

Con quest’opera, l’autore riflette e fa riflettere sulle inibizioni che ognuno si trascina dietro. Sulle sovrastrutture che, alterandola, celano la comprensione della realtà̀. Sul ruolo sociale che dovremmo avere nel mondo. Sulle le gabbie mentali che impediscono all’uomo contemporaneo di continuare a volare, innocente e fedele a sé stesso.

Per quanto sia possibile immaginare le nostre democrazie libere ed emancipate, siamo ancora schiavi – ci dice Halle – di un’educazione atavica e del giudizio di persone che condividono la nostra quotidianità̀. Proprio come KARI, la vita ci porta spesso, a diventare preda di chi dovrebbe amarci e si finisce così, inermi, a non ascoltare più le nostre Voci di dentro. Tradendo, in questo modo, i nostri sogni. Dichiarandoci incapaci di seguirli fino in fondo. Accontentandoci del compromesso domestico, realizziamo per contrappasso, troppo tardi, che viviamo così una condizione di perenne solitudine. Da questa inerzia comincia a fuggire KARI il giorno in cui, improvviso, compare VOCE, personaggio misterioso e sovversivo che si fa specchio e interprete della sua vita, in un continuo contrappunto di sentimenti e quadri diversi.

La messa in scena di Gianluca Iumiento innesca, in questo contesto, un sapiente e ironico gioco dei contrasti, che esaspera la frequenza interpretativa dei piani narrativi del testo: da quelli più̀ intimi e sofferti, a quelli più̀ affabulanti e grotteschi.

Piani narrativi diversi che permettono ad Anna Paola Vellaccio e Stefano Sabelli di “giocare” i loro ruoli, ribaltando di continuo l’intensità interpretativa e lo stile autoreferenziale e istrionico, che pure l’autore evidenzia nel carattere dai personaggi creati. In alcuni momenti conversano, da buoni amici, quasi come in una seduta psicoanalitica, analizzando il passato per cambiare il presente. Altre volte interpretano, con più̀ irruenza, i conflitti e gli amori che animano sia i ricordi reali che le fantasie di KARI. In altri momenti – come nel Teatro espressionista e post pirandelliano – dialogano col pubblico, raccontando e condividendo, oltre la quarta parete, i dilemmi e la difficile ricerca interiore che anima i loro ruoli e i diversi quadri di scena cui danno vita, in un susseguirsi che ha quasi l’incedere di cartoon streeps.

Le scene ideate da un’artista visiva come Keziat, in questo perimetro, accentuano l’impronta psicanalitica e al contempo da graphic novel, dello spettacolo, assecondando ottimamente il progetto di regia. Su un fondale disegnato dall’artista pugliese sono così continuamente proiettate gigantografie mutanti di altri suoi disegni e che si integrano a quelli prestampati sul fondale. I disegni di Keziat – fitte ragnatele di linee, tracciate con un compulsivo uso di biro multicolori – danno vita a un caleidoscopio di panorami visivi e mentali che si susseguono a ritmo incessante, diventando rappresentativi dello stato d’animo e delle fantasie più recondite di KARI.

I costumi di Eva Sabelli, anche aiuto regista, rappresentano un crash vintage di epoche e stili che fondono il mondo di Munk e quello di Pushwagner, dove il bianco e nero di partenza di frac e lunghe gonne di cotone bianco, ricamata con merletti  e crinoline da campestri Feste di Primavera, viene poi ravvivato dall’uso di cerate da barca, multicolori, più moderne, che sposano perfettamente i panorami visivi di Keziat.

Le musiche dal vivo della giovane cantautrice Arianna Sannino, inserita dalla regia come terzo personaggio, non scritto nel testo, scandiscono le diverse scene e i diversi stati emotivi che si susseguono nello spettacolo. La giovane musicista, di bella presenza e grande vocalità, in un vortice sonoro sempre più coinvolgente, apre o chiude i diversi quadri di scena, alternando canzoni di Mina, dei Måneskin, dei Rokes e di suoi brani appositamente composti, che sposano benissimo il testo di Halle. Per il pubblico è facile rivedere nella bella cantante napoletana, la figlia spesso evocata da KARI. Una figlia che rappresenta l’amore e l’abbandono, la libertà e l’oppressione di cui la protagonista deve infine liberarsi in modo inaspettato e drammatico. Per elevarsi e abbandonare la forma dell’insipido Asino grigio che credeva di essere, trasformandosi nel famelico e mitologico animale, da notti di luna piena, che ha deciso di essere.

La traduzione dell’autrice e attrice norvegese Maria Sand, già̀ diplomata al Centro Sperimentale di Cinematografia a Roma, evidenzia la parte più̀ ludica e latina del testo di Halle che, come in altre sue opere, danza sopra le insicurezze dell’animo umano. Fra queste contaminazioni, la regia innesca il suo gioco più̀ scaltro ed evidente.

RASSEGNA STAMPA:

Il Florian Metateatro e Teatro del Loto/Teatri Molisani co-producono “L’Asino” del drammaturgo contemporaneo norvegese Jon Jesper Halle, già premio Ibsen nel 1997 e premio Hedda nel 2004.

Uno spettacolo crudo e feroce che guarda analizza denuncia una società norvegese che diventa paradigma delle paure contemporanee, della claustrofobia non solo fisica ma soprattutto interiore, della trappola feroce del vivere. Una donna incatenata a una panchina che si trasforma in peso ancora zattera e rifugio. Una donna in bilico tra passato e presente, tra follia e consapevolezza, tra fiaba e crudeltà. In scena Anna Paola Vellaccio nel ruolo di Kari la protagonista, sguardi e parole che trattengono lo spettatore col fiato sospeso.

Una prova d’attrice matura nel ruolo, non semplice, di una donna che soffre senza smettere di osservare, di essere presenza, di farsi acuto nella voce, nelle parole e nel corpo. Con lei in scena l’attore Stefano Sabelli bravissimo nel farsi maschera della società che libera e incastra, che chiude e apre alla fantasia, alla possibilità di evadere. In scena anche Arianna Sannino voce e chitarra che ci offre una intensa interpretazione unplugged di “Torna a casa” dei Måneskin. Lo spettacolo, presentato a Pescara al Florian Espace, sede storica della compagnia omonima, è andato in scena giovedì 28 e venerdì 29 ottobre 2021 nell’ambito della stagione Teatro d’Autore del Florian Metateatro. Uno spettacolo da vedere, concepito come una grande installazione – un giardino-scarabocchio – con una sequenza visiva proiettata che accompagna la storia e la drammaturgia senza mai distrarre lo spettatore, efficace presenza nella narrazione. Regia di Gianluca Iumiento, disegni e scenografia Keziat

IL GIORNALE DI MONTESILVANO Beniamino Cardines

https://www.giornaledimontesilvano.com/25827-al-florian-l-asino-la-trappola-feroce-del-vivere?fbclid=IwAR026fOmK-95Mk-m8caSbnrLEaxwKdgN0tYhkZPc_hnYYBpCSgbusTBZx64

Il regista
Gianluca Iumiento,
 nato a Livorno, dopo essersi diplomato al Centro Sperimentale di Cinematografia, a Roma, si trasferisce in Norvegia dove vive e lavora da anni, dirigendo e interpretando film e spettacoli per il Teatro Nazionale. Ad Oslo ha pure diretto per un decennio la KHIO, l’Accademia delle Arti, dov’è titolare dei corsi di drammaturgia, lo stesso Jasper Halle, di cui Iumiento, oltre a L’Asino, ha messo in scena altre opere, sia in Norvegia che in Italia, ritrovando negli eroi perdenti dell’autore norvegese, i figliocci di autori come Bergman e Cechov. Dal 2021 affianca Stefano Sabelli, fondatore del Teatro del Loto nella direzione del teatro molisano. In Italia, al Piccolo di Milano, Iumiento ha inoltre proposto lavori di un altro importante drammaturgo scandinavo, Jon Fosse, fra gli autori contemporanei più̀ rappresentati al mondo.

Gli interpreti
Anna Paola Vellaccio 
– co-fondatrice del Centro di Produzione FLORIAN METATEATRO di Pescara, Anna Paola è una splendida attrice, con una carriera trentennale, cui recentemente si deve la bellissima interpretazione, molto ben recensita, del monologo La Chiave dell’Ascensore di Agota Kristof, per la regia di Fabrizio Arcuri. Al cinema ha inoltre lavorato con Emidio Greco e Alex Infascelli.

Stefano Sabelli – poliedrico e vulcanico fondatore e direttore del Teatro del Loto cha ha progettato e costruito in Molise per conto di Teatrimolisani e oggi considerato – da guide specializzate come Lonely Planet e Touring Club – come “il più bel Piccolo Teatro d’Italia”, si divide fra Teatro, Cinema, Tv, Istallazioni permanenti e Management culturale. Come regista e interprete, ha recentemente portato in scena, un trittico di personaggi – Saul di Alfieri, Re Lear di Shakespeare e Achab, dal Moby Dick di Melville – con cui ha proposto un originale Focus su Follia senile e perdita di Potere. Fra le ultime interpretazioni al Cinema quelle in Mamma+Mamma di Karole Di Tommaso e Sole a Catinelle dove è Onofrio, cugino molisano di Checco Zalone.

Una coproduzione con
KHIO – Oslo National Accademy of the Arts – Norvegia
Centro di produzione Florian Metateatro – Pescara
Quartieri dell’Arte – Viterbo


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